"ANGELA "... frammenti


Vado con i partigiani
..... «Vado con i partigiani, in montagna».
Sull’argomento Dina sapeva poco. All’indomani dell’armistizio nei reparti si vociferava di due camion carichi di uomini, armi e viveri, partiti per una destinazione controversa: «In montagna, a combattere i tedeschi» dicevano tutti. «In Valsassina» avevano precisato i meglio informati.
Altri sostenevano che fossero diretti a Como. Ma c’era anche chi giurava di averli sentiti parlare del Varesotto e del Monte San Martino.
Due giorni dopo, entrambi gli automezzi erano rientrati con quasi tutti gli operai, ma senza viveri e armi. Sui giornali, ogni tanto, ci si imbatteva in qualche fugace accenno ai “banditi” annidati nelle città e sui monti.
Non riusciva a immaginare le conseguenze della sua scelta, ma ne conosceva l’origine: «Segui l’esempio del tuo amico bolognese?».
«In parte» riconobbe. «Abbiamo parlato molto durante il viaggio. Lo facevamo per tenerci su di morale, ma è servito anche per chiarirmi le idee».
«Sei diventato comunista?».
 Lui rimase in silenzio per alcuni, interminabili istanti: «Non lo so. In questo momento non posso dirti di essere comunista, socialista o altro. So soltanto che in tanti abbiamo sbagliato: chi ha voluto a tutti i costi questa guerra, chi l’ha dichiarata, chi non si è opposto, chi ci ha creduto, chi non ha avuto il coraggio di gridare che non ci credeva, chi ha ubbidito ciecamente, chi si ostina a ignorare il disastro a cui stiamo andando incontro» le spiegò. «Una cosa, però, ho chiara nella mente: sento il dovere di combattere coloro che hanno condotto il mio Paese alla catastrofe».


La foto ricordo

..... Lo studio Galbiati era il più rinomato di Sesto San Giovanni: “Per numero e perfezione di macchine è inconfondibilmente superiore a ogni altro della zona ed è uno dei migliori di tutta Italia” garantiva la réclame pubblicata sul periodico locale.
Il Galbiati sapeva stare al passo con i tempi. Con i macchinari all’avanguardia acquistati in Germania aveva lanciato una proposta che stava sbaragliando la concorrenza: “Cinque ritratti. Cinque espressioni diverse. Cinque minuti di attesa. Cinque lire soltanto di costo”.
Certi giorni i clienti facevano la fila davanti al suo studio. E lui affari d’oro.
Entrarono dal cortile e suonarono il campanello. Venne ad aprire un uomo sulla sessantina, avvolto in un professionale grembiule nero, smilzo, con pochi capelli sapientemente stirati dalla brillantina, un paio di baffetti scuri e ben curati, due occhi furbi che ti scrutavano nel profondo, piccandosi di metterti a fuoco in pochi istanti il carattere e i sentimenti: “Nella fotografia ogni volto deve esprimere la propria storia” era il suo motto.
Tecnica, competenza e sensibilità si fondevano alla perfezione in quella persona che si muoveva, sicura e disinvolta, nel proprio studio: «Se volete sistemarvi, in fondo c’è un camerino con uno specchio» li accolse, prima di cominciare a trafficare con una grande macchina fotografica, sistemata su un treppiede metallico da cui spuntava un enorme flash.
Si presentarono davanti all’obiettivo tirati a lucido: Andrea in divisa da marinaio, Dina con la camicetta bianca e il golfino blu. Il Galbiati li squadrò, poi cominciò a costruire insieme a loro la sua piccola opera d’arte: «Meglio se state in piedi. La signorina non sfigura al suo fianco, anzi... È alta e ha un bel portamento. Non serve il berretto, marinaio. Basta l’uniforme... Signorina, non schiacci i suoi riccioli. Ci sono donne che pagherebbero oro pur di averli così... Li lasci più sciolti, più vaporosi, più naturali... Non dovete guardare me... Pensate che io non esista... È una foto di fidanzamento, vero? E allora stringetevi un po’... Coraggio, giovanotto, non essere timido... Mettile pure il braccio sulla spalla... Cercate di essere più disinvolti... Morbido il braccio e state più vicini... Ignorate l’obiettivo e pensate a questo vostro momento felice... Ecco. Fermi così».....



Il posto di blocco

..... Francesco scrutava la strada, preoccupato per l’approssimarsi della zona controllata dal nemico. Imperterrito, il bredino proseguì: «In tutta la giornata non abbiamo incontrato neanche uno spaventapasseri in divisa. Date retta a me, che conosco come va il mondo: ancora qualche settimana e... Porca troia!» esclamò, strozzando in gola l’ultima spacconata.
Sul volto di Francesco comparve una smorfia di preoccupato disappunto.
«Oh Signore! I fascisti!» esclamò Angela, accortasi del posto di blocco.
Pezzo d’asino!” imprecò Francesco, lanciando un’occhiataccia al bredino, che aveva cominciato a sacramentare: «Le bestemmie non ci aiuteranno a tirarci fuori dai guai!» lo rimbrottò. «Rallenta, senza brusche frenate».
In fila, davanti a loro, c’erano soltanto due carri agricoli e un’autovettura.
«Ce l’hai un’arma?» gli domandò l’autista.
«Per far che?» replicò, angustiato per la sorte di Angela. «Sono il doppio di noi. Inutile fare gli eroi! Bisognerebbe usare il cervello...».
Il primo carro si era già rimesso in cammino. Pochi istanti e i militi si sarebbero presentati a controllare i documenti e le bolle di trasporto.
«Cosa intendi fare?» si preoccupò il bredino.
Francesco allargò le braccia, incapace di escogitare qualcosa. I due uomini si guardarono con la paura dipinta sul volto. In silenzio, Angela cominciò a scarmigliarsi i capelli. Poi si slacciò due bottoni della camicia per esibire il conturbante decolleté. Quindi sollevò la gonna fin sopra le ginocchia. Con un po’ di rossetto avrebbe completato l’opera, ma non l’aveva a portata di mano e non poteva far conto sui compagni di viaggio.
L’autista strabuzzò gli occhi non riuscendo a comprenderne le intenzioni: «Te la senti di sostenere una parte simile?» si stupì invece Francesco, intuendo il ruolo che si apprestava a recitare. .....